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Prostata ingrossata: quando operarsi?

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Debora-MarchioriL’ipertrofia prostatica benigna, comunemente conosciuta come prostata ingrossata, colpisce fino all’80% degli uomini tra i 50 e i 70 anni. E’ causa di forti disagi e può ridurre sensibilmente la qualità di vita di chi ne è affetto. La dott.ssa Debora Marchiori, specialista in Urologia a Bologna, Responsabile Regionale SIUT (Società Urologia Territoriale), ci spiega cosa è necessario sapere per affrontare un eventuale intervento chirurgico alla prostata, sfatando i “falsi miti” come impotenza e incontinenza che tanto disorientano il paziente maschio.

 

La prostata è una ghiandola poco conosciuta, se non al momento della manifestazione di un disturbo: ci spiega cos’è e a cosa serve? Inoltre, quali sono i segni e i sintomi per riconoscere l’ingrossamento benigno della ghiandola e che impatto hanno sulla qualità di vita del paziente?

La prostata è una ghiandola sessuale molto importante perché arricchisce con i suoi secreti il liquido seminale, contribuendo così alla fertilità.

La classica sintomatologia è quella del paziente che va spesso ad urinare, anche nelle ore notturne, con possibile bruciore e dolore durante la minzione, sintomi che sono spesso connessi anche all’infiammazione batterica della prostata. Questi pazienti possono presentare disturbi sessuali, per il coinvolgimento di vie neurologiche che sono connesse all’area genitale e che giocano un ruolo importante sulla sfera sessuale.

L’ingrossamento della prostata è un fenomeno che si manifesta con l’età, generalmente ha un suo apice intorno ai 50 anni. La particolare sintomatologia dell’ipertrofia prostatica benigna è legata alla posizione molto particolare in cui si trova la prostata: è posizionata al di sotto della vescica e abbraccia come un manicotto l’uretra e quando cresce in modo esuberante comprime come se fosse un anello l’uretra, impedendo il normale passaggio dell’urina dalla vescica all’esterno.

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Quali sono oggi le terapie a disposizione per curare la prostata ingrossata e gestire i disturbi ad essa associata? Quali sono i principali obiettivi della terapia?

In generale quando la prostata è ritenuta responsabile dei sintomi e viene escluso si tratti di una condizione legata ad altre patologie, la terapia per l’ingrossamento della ghiandola ha tre obiettivi:

  • eliminare l’infiammazione che spesso accompagna l’ingrossamento benigno
  • ridurre l’ingrossamento della ghiandola
  • ridurre tutti sintomi causati dall’ostruzione.

In prima battuta la terapia utilizzata è quella medica, ossia l’utilizzo di farmaci. Preferiamo prima adottare un approccio più conservativo ed eventualmente ricorrere a quello chirurgico nei casi più complicati.

La terapia medica è di quattro tipi:

  1. Una terapia ha lo scopo di decongestionare la prostata e ridurre l’infiammazione responsabile di disturbi come l’urgenza, la minzione imperiosa, il dolore durante la minzione. Appartengono a questa categoria i preparati a base di Serenoa Repens, un prodotto naturale derivato da una pianta che si chiama Saw Palmetto coltivata nelle zone delle paludi della Florida e del sud degli Stati Uniti, con capacità decongestionanti e antiinfiammatorie molto importanti.
  2. La terapia con una classe di farmaci (alfa litici) che rilassano la muscolatura del collo della vescica migliorandone lo svuotamento. E’ molto efficace e abbastanza tollerata anche se in alcuni soggetti predisposti può portare un abbassamento eccessivo della pressione. Questo farmaco non è particolarmente amato perché provoca eiaculazione retrograda, un fenomeno che si verifica perché l’azione terapeutica di rilassamento del collo vescicale favorisce il passaggio dell’eiaculato per via retrograda in vescica piuttosto che nell’uretra, ovvero verso l’esterno. Questo effetto collaterale può portare poi alla sospensione della terapia.
  3. Il terzo approccio prevede l’utilizzo degli inibitori di un enzima (enzima 5 alfa reduttasi) coinvolto nella produzione del testosterone, ormone sessuale maschile che contribuisce alla crescita delle cellule della prostata. Questa terapia riduce drasticamente il volume prostatico. Anche questo farmaco è ben tollerato ma può ridurre in alcuni casi il desiderio sessuale e può quindi dare problematiche sessuali.
  4. Il quarto approccio molto importante ed innovativo è quello dell’utilizzo dei farmaci impiegati per l’impotenza. Il tadalafil da 5mg (inibitore della fosfodiesterasi di tipo 5), preso giornalmente ha un effetto oltre che sul microcircolo dei corpi cavernosi del pene, anche sulla muscolatura della vescica, favorendone lo svuotamento. Farmaci come il tadalafil sono generalmente ben tollerati ma possono avere alcuni effetti collaterali come nausea, mal di stomaco, emicrania. L’unico effetto collaterale non tollerato è il costo, perche è un farmaco totalmente a pagamento.

Al di là della scelta personale, ci sono condizioni cliniche per cui è necessario procedere dall’approccio medico con i farmaci a quello chirurgico? E’ possibile delineare il quadro clinico del “paziente tipo” che deve operarsi alla prostata?

Sicuramente ci sono dei casi a rischio per cui l’intervento diventa necessario, sono pochi i pazienti che rinunciano a essere operati, mantenendosi in queste condizioni, senza seguire le indicazioni e i consigli dell’urologo.

In particolare l’indicazione chirurgica diventa obbligatoria:

  • quando il paziente non risponde alla terapia medica, indipendentemente dal fatto o meno che possa sopportare il tipo di disagio, soprattutto in caso di co-morbilità come il diabete;
  • in caso di complicanze come infiammazioni, irritazione o sepsi;
  • se il paziente non riesce più ad urinare (ritenzione urinaria acuta) e ha bisogno del catetere.

La decisone del paziente è però un dato essenziale: è importante condividere con lui la scelta della terapia per avere un buon risultato terapeutico.

Stabilita la necessità di operare, quali sono le tecniche chirurgiche oggi disponibili per la prostata ingrossata? Le cure miniinvasive, come hanno cambiato gli interventi alla prostata rispetto alla tecnica tradizionale?

Esistono due approcci chirurgici a questo tipo di patologia:

  • La tecnica a cielo aperto (adenomectomia prostatica trans vescicale) è quella classica utilizzata ormai da 30 anni. Consiste in un’incisione sull’addome e l’asportazione di una parte della ghiandola (l’adenoma prostatico) attraverso la vescica. E’ abbastanza invasivo quindi ricovero e recupero dall’intervento richiedono dai quattro ai cinque giorni.
  • L’ approccio endoscopico, non prevede tagli, in questo caso la ghiandola viene ridotta di volume attraverso il canale dell’uretra. Le tecniche per via trans uretrale oggi si sono evolute (tecniche bipolari o laser). L’impatto delle diverse strumentazioni mini invasive è differente, alcune più di altre possono far ridurre i tempi di sanguinamento e quindi accelerare la ripresa del paziente, come ad esempio nel caso di laser ad Holmio o laser Tullio, che presentano tempi di cicatrizzazione più breve rispetto alle strumentazioni tradizionali riducendo anche i tempi di ricovero. In generale, l’approccio endoscopico è meno invasivo di quello a cielo aperto quindi ricovero e recupero richiedono un tempo più breve, dalle 24 alle 72 ore.

La discriminante tra le due tecniche è la dimensione dell’organo, cioè quanto più è grande la prostata, tanto più diventa difficile usare un approccio endoscopico.

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In base alla sua esperienza quali sono le paure del paziente quando deve sottoporsi a un intervento per l’ipertrofia prostatica benigna? Quali sono i “falsi miti” da sfatare?

La disinformazione sull’argomento purtroppo ha generato nel paziente due principali paure: l’incontinenza e l’impotenza. Per sfatare questi due falsi miti è necessario fare chiarezza e distinguere l’intervento per l’ipertrofia prostatica benigna da quello per il tumore della prostata. Nel caso di un tumore, la prostata viene asportata interamente, la malattia può interessare i nervi dell’erezione e può quindi causare incontinenza urinaria e disturbi della sfera sessuale.

Al contrario l’intervento per l’ipertrofia prostatica benigna non crea alcun danno dal punto di vista della sfera sessuale perché i nervi dell’erezione sono lontani dal nostro punto di lavoro e la prostata viene solo ridotta di dimensioni, non asportata in blocco. E’ importante specificare che alcuni pazienti accusano problemi della sfera sessuale dopo l’intervento che non sono da imputare alla tecnica. Avendo una certa età, spesso hanno infatti condizioni preesistenti di deficit erettile che vengono solo acuite dai problemi alla prostata. Anche l’eventuale calo del desiderio, non è da attribuire all’intervento, ma solo al forte impatto psicologico che ha sul paziente. In definitiva, se la tecnica chirurgica è eseguita in modo corretto l’attività sessuale può ricominciare in maniera fisiologica ad eccezione dell’eiaculazione retrograda che in questo caso diventa un fenomeno persistente.

Per quanto riguarda l’incontinenza è una condizione del tutto transitoria. Molti pazienti nelle prime fasi dopo l’intervento lamentano delle perdite urinarie da urgenza perché la vescica deve riadattarsi a una condizione di contrazione normale dopo la rimozione della prostata. Quindi è possibile tornare alla minzione normale, con un po’ di pazienza perché di solito per riprendere la routine minzionale sono necessari dai tre ai sei mesi.

Quali consigli può dare ai pazienti che soffrono di prostata ingrossata e stanno valutando la possibilità di sottoporsi a un intervento chirurgico?

Sicuramente parlarne con un urologo, esponendo tutti i dubbi relativi alle eventuali problematiche. L’ipertrofia prostatica benigna non mette a rischio la sopravvivenza dell’individuo ma limita fortemente la quotidianità, conducendo in alcuni casi a infezioni e complicanze.

Rinunciare alla qualità della propria vita per la paura infondata di un intervento di routine, che potrebbe risolvere in maniera definitiva il problema, sarebbe insensato.

E’ inoltre importante rivolgersi al medico all’esordio dei sintomi perché di solito i pazienti trascurano il problema e approdano a questo intervento quando le condizioni non sono ottimali, ma quanto più il quadro clinico è complicato tanto più ci vuole a recuperare dopo l’intervento.

Concludendo, credo molto alla tecnica chirurgica, chiaramente praticata con moderazione: oggi siamo in grado di fare delle buone resezioni alla prostata con ottimi risultati e senza grosse complicanze.

La trovo indicata nel paziente che non vuole o non sopporta la terapia ma anche nel caso in cui i farmaci non siano efficaci e infine nei casi di complicanze come infezioni e ritenzione urinaria e diabete, che la rendono appunto necessaria.