Home Cuore Infarto Prevenire l’infarto: il ruolo degli Omega-3

Prevenire l’infarto: il ruolo degli Omega-3

Il Prof. Massimo Uguccioni, Direttore U.O.C. UTIC Cardiologia 1 presso l’Azienda Ospedaliera S. Camillo – Forlanini di Roma, ci spiega in cosa consiste la prevenzione e il ruolo degli Omega-3, in un soggetto colpito da infarto per evitare un secondo evento cardiaco.

Quali sono le norme di prevenzione che una persona colpita da infarto dovrebbe seguire per evitare nuovi problemi?

Per chi è stato colpito da infarto, i consigli vanno in due direzioni: stile di vita e terapia.
Se l’infarto non ha lasciato danni rilevanti al muscolo cardiaco, c’è la prospettiva di una vita normale e di una lunga sopravvivenza, tenendo conto che eventuali stili di vita negativi vanno naturalmente modificati.

Quindi no alla sedentarietà, abolire nel caso il fumo, adottare un’alimentazione sana, che tutti a parole conoscono ma pochi rispettano.

Un punto di cruciale importanza è poi l’aderenza alla terapia prescritta in sede di dimissione: il trattamento va seguito con attenzione, soprattutto per i primi 12 mesi successivi all’infarto, ma purtroppo questo aspetto spesso viene a mancare.

La difficoltà di pazienti non più giovani nel gestire molti farmaci contemporaneamente è sicuramente una delle ragioni, ed è per questo che il paziente non andrebbe lasciato solo una volta tornato a casa, ma aiutato a mantenere elevata l’attenzione sulla prevenzione secondaria.

A parte l’importantissimo ruolo dei familiari, bisognerebbe rafforzare il contatto con la struttura che lo ha avuto in cura, con il Cardiologo, con il Medico di Famiglia, con gli ambulatori di follow up… tutti soggetti in grado di migliorare l’aderenza terapeutica.

Che ruolo svolgono gli Omega-3 nella terapia del post-infarto?

I benefici garantiti dai farmaci a base di acidi grassi omega-3 EPA e DHA nel trattamento del post-infarto sono ampiamente noti, ma a quelli dimostrati scientificamente se ne può aggiungere anche uno di carattere “psicologico”.

Gli omega-3, infatti, aiutano l’aderenza terapeutica perché sono visti dal paziente come farmaci “diversi” da quelli tradizionali; non sono gravati dal “sospetto” di effetti collaterali, e in definitiva vengono assunti più volentieri.

Attenzione però, perché gli Omega-3 vanno proposti come terapia farmacologica a tutti gli effetti e non come un semplice trattamento di integrazione: va spiegato in modo chiaro al paziente la differenza tra specialità farmaceutiche e integratori.

Cosa si può dire degli effetti farmacologici degli omega-3?

Innanzitutto chiariamo una volta ancora che stiamo parlando degli Omega-3 come terapia di prevenzione secondaria dopo un infarto miocardico acuto.

Gli acidi grassi polinsaturi EPA e DHA si trovano anche in alimenti come pesce, noci, alcuni oli vegetali, ma questo apporto non ha nulla a che vedere con il dosaggio farmacologico: consumare cibi ricchi di Omega-3 costituisce una sana integrazione che rientra nella prassi della buona alimentazione, ma non è certo una terapia.

Ciò premesso, si può affermare che i farmaci a base di queste sostanze sono ben tollerati, si integrano senza problemi con le altre terapie farmacologiche salvavita, non hanno effetti di sovrapposizione e interazione: ci sono insomma tutte le condizioni perché possano essere assunti tranquillamente e con buona aderenza sul lungo periodo. Di solito si prescrive 1 capsula da 1g al giorno per i primi 12 mesi, ma la tendenza è di adottare un trattamento anche più prolungato.

Cosa si può aggiungere sul loro meccanismo d’azione?

La questione è stata a lungo discussa nella comunità scientifica, e si è arrivati alla conclusione che l’azione anti aritmica è quella che garantisce i maggiori benefici nel post-infarto.

Questo meccanismo porta a una sensibile riduzione di mortalità e morte improvvisa, che di solito nel paziente si manifestano a causa di un’aritmia fatale.

Un aspetto da sottolineare con un pizzico di orgoglio, è che il ruolo positivo svolto dagli Omega-3 rappresenta un vanto della cardiologia italiana. Sono infatti gli studi derivati da un importante studio di prevenzione secondaria nei pazienti colpiti da infarto (il GISSI prevenzione) ad averne evidenziato i benefici in termini di riduzione di mortalità.