Home Cuore Ipercolesterolemia Valori di colesterolo totale alti: quando preoccuparsi?

Valori di colesterolo totale alti: quando preoccuparsi?

Il colesterolo alto, cioè con valori nel sangue oltre i 240 mg/dl (ipercolesterolemia), è aumentato nella popolazione del 14% negli ultimi 10 anni, passando dal 24% al 38%, secondo un’indagine dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare ISS-ANMCO (Istituto superiore di Sanità-Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri) / Health Examination Survey.

Un fattore importante nell’innalzamento dei valori di colesterolo è rappresentato dall’alimentazione, quindi dalla quantità di colesterolo introdotta con i cibi e dal suo conseguente assorbimento intestinale, ma non è l’unico, e ciò spiega perché, pur con una dieta corretta, si possono avere livelli alterati. In questi casi, diventa necessario agire in particolare anche su sintesi e ossidazione del colesterolo, fattori altrettanto insidiosi che possono essere tenuti sotto controllo con trattamenti mirati.

Quale strategia per abbassare i valori di colesterolo totale?

La dieta mediterranea, ovvero un’alimentazione ricca di pesce, frutta, verdura e cereali, e con pochi grassi, unita a una buona attività fisica, rappresenta sempre un validissimo approccio preventivo, ma può non essere sufficiente a mantenere nei “range” i valori di colesterolo e in particolare di quello “cattivo”. È allora che entra in gioco l’importanza di disporre di trattamenti efficaci, che siano in grado di inibire contemporaneamente tutti e 3 i fattori visti sopra (sintesi, assorbimento e ossidazione) e portare a una riduzione delle LDL in eccesso.

L’ipercolesterolemia in Italia colpisce il 35% della popolazione. Ridurrne la diffusione rappresenta oggi una sfida sanitaria da affrontare con tutte le armi disponibili.

Come riportato dalle Linee Guida Europee (ESC-EAS) sul trattamento delle dislipidemie, recentemente sono state sviluppate alcune strategie innovative per l’integrazione alimentare specifica per ridurre i valori di colesterolo. In particolare, i prodotti contenenti fitosteroli/fitostanoli e monacolina K (una statina naturale presente nel riso rosso fermentato) sono in grado di inibire la sintesi e ridurre l’assorbimento del colesterolo fino al 40%, riducendo del 31% i livelli di LDL e aumentando del 20% quelli di HDL. Se a questo doppio effetto si associa anche quello della riduzione dell’ossidazione delle LDL, come garantito da un rivoluzionario integratore alimentare che contiene un composto fitochimico chiamato idrossitirosolo, molto efficace in tal senso, si può ben dire di avere ormai a disposizione armi davvero efficaci contro le insidie del colesterolo cattivo.

Colesterolo buono o cattivo: come riconoscerlo?

Facendo un passo indietro, bisogna però spiegare che parlare del problema colesterolo elevato “in generale”, non è del tutto corretto, perché sappiamo bene che i rischi cardiovascolari arrivano esclusivamente dalla sua frazione “cattiva” (LDL).
In realtà, con LDL – così come con HDL (il cosiddetto colesterolo “buono”) – non si indica un tipo di colesterolo, perché il colesterolo è uno solo: quello che cambia sono le sostanze (lipoproteine) che lo trasportano nel sangue.

Le LDL sono lipoproteine a bassa densità che portano ai tessuti il colesterolo sintetizzato dal fegato, mentre viceversa le HDL sono lipoproteine ad alta densità che rimuovono il colesterolo in eccesso e lo riportano al fegato, che poi lo elimina.
Le LDL in eccesso, a causa dell’azione ossidante dei radicali liberi, si infiltrano nelle pareti delle arterie, depositandosi su di esse. Si viene così a formare la placca aterosclerotica che porta a una riduzione del flusso sanguigno causata dal restringimento dei vasi, ma anche a una diminuzione della loro elasticità e all’aumento del rischio di formazione di trombi.

Per valutare la rilevanza in termini di rischio cardiovascolare del colesterolo “cattivo” rispetto a quello “buono” esistono diversi metodi, ma il più utilizzato è il calcolo del rapporto tra il valore di colesterolo totale e la frazione HDL. Risultati inferiori a 5 nell’uomo e a 4,5 nella donna indicano un rischio medio, mentre sotto i 3,5 e 3,30 (rispettivamente uomo e donna) siamo in presenza di un  rischio molto basso.